Poetiche geometrie in terra veronese è il tributo di Vittorio Carradore alla sua terra, a quel territorio che egli tanto ama e che trasferisce sulle sue opere dopo aver percorso a piedi e in solitudine le montagne della Lessinia, le valli d’Alpone e d’Illasi, le sue predilette. Troviamo nello spazio di una tela o di una tavola la magia di dorsali, colline, valli e campi coltivati, soggetti plasmati da una tavolozza dai colori intensi, vero e proprio vortice che racconta il susseguirsi delle stagioni. Carradore crea con il pennello una sorta di “allegro” cromatico dove le chiome degli alberi appaiono come uno spartito musicale: i colori danzano sulla tela, mutano gli accenti come i tasti di un pianoforte si alternano tra gravi e acuti. Così i colori cambiano rotta, le prospettive diventano variabili suggerendo all’osservatore piani di lettura diversi come in Paesaggio di collina. In maniera naturale e imprevedibile è l’emozione a guidare la visione dell’opera. Da un’ipotetica montagna il verde corre verso la pianura sottostante e subisce il fascino di vedute interrotte da campi di grano, da chiome ora arancioni, ora viola, ora blu in una visione che, all’apparenza potrebbe sembrare dominata da colori audaci ma, come in uno splendido ossimoro artistico, rivela l’influenza della luce. È il caso di opere come Mattino a Crespadoro, In Val d’Illasi e Strada di Campagna. Una luce che varia e plasma le figure per raccontare la vera essenza del soggetto, la sua intimità… tutto è gioia del creato, fatto da e per la luce. È l’energia dei colori caldi a trionfare in Filare di pioppi, Campi di grano, Campagna nel basso veronese, soggetti tipici dell’artista dove la natura emerge dalla tavola irradiando una fascinosa serenità. Il colore è strumento che completa la forma, che ammorbidisce la geometricità intrinseca dei soggetti, donando morbidezza cromatica e compositiva. Campi innevati, Paesaggio invernale, Prima neve… qui le forme si fanno ancora più pure, le chiome appena accennate, alla continua ricerca di una semplificazione del tratto. Le cromie restituiscono forme e profili di vigneti spogli ed essenziali, quasi a ricordare un ordine geometrico pronto a ribaltarsi al mutare della prospettiva. Ma l’anima di Carradore affronta anche il mondo familiare delle tradizioni, dei ricordi, dei sentimenti, di una vita quotidiana scandita da valori antichi: è il mondo dei borghi, delle strade di campagna, di una civiltà contadina e laboriosa. Troviamo in mostra opere dedicate ai lavori d’artigianato, Porcellane, bambini in crocchio, Ricordo d’Infanzia, bambole e insolite vedute di sedie impagliate, Il riposo di Napoleone. Sono soggetti che evocano pace, serenità e quiete come Interno familiare, emozioni che si amplificano nelle nature morte, Due rose, Il tavolino azzurro, dove il colore emerge con maggiore intensità. È un mondo silente e assorto che oppone all’energia del colore la pacatezza del soggetto raccontato. È un mondo silente che si esprime anche nei paesaggi rurali, con tanto di cartelli direzionali, veristi nella loro collocazione e assolutamente artistici per la loro originalità espressiva. Sono paesaggi dominati dalla quiete, che ricordano le antiche tradizioni campestri dove la presenza dell’uomo richiama il lavoro e la fatica, C’era una volta il contadino. Sembra riecheggiare il fascino dell’arte macchiaiola per i soggetti ritratti, per quella pennellata morbida, per quelle tracce di colore, così appena accennate ma così cariche anche laddove lo strato è talmente velato da lasciar trasparire la tavola. Ci sono anche gli esordi, il mondo del giovane Vittorio, la sua passione per lo sport, i suoi genitori, ricordi di un percorso che nasceva precocemente, a tredici anni, con una barca in mezzo al mare.
Federico Martinelli in “Poetiche geometrie in terra veronese”